Polenta e cinghiale

La Via Francigena entra in territorio toscano una volta che, provenienti dall’Emilia (Cassio o Berceto) viene superato il Passo della Cisa.

Da lì, dopo un bel percorso nel bosco, un sentiero di crinale, imboccato al Passo del Righetto, e sviluppantesi lungo il Monte Cucchero, ridiscende consentendo l’attraversamento della verde Valdantena.

In questo territorio coloro che coltivano campi e orti trovano nei cinghiali il loro più temibile nemico: un ungulato del quale subiscono le devastanti periodiche razzìe.

Privi di rancore, talvolta si vendicano a tavola dove il loro avversario solitamente si presenta in cattiva salute, accompagnato da una ricca porzione di polenta.

Questa è la ricetta ritrovata su un vecchio quaderno, appartenuto ad una madre di famiglia della Valdantena, che, durante la sua vita, svoltasi nel secolo scorso, era apprezzata per la abilità che dimostrava nel ribaltare la cattiva fama di cui godeva il cinghiale…rendendolo buono.

Cinghiale in umido

Innanzitutto l’animale deve essere trattato con estrema attenzione affinché non abbia a sporcarsi perché, per rispettare la tradizione, sarebbe opportuno non lavarne le carni.

Quindi dopo aver fiammato la parte che si intende utilizzare, per eliminare eventuali peli residui, occorre tagliarla a pezzi.

Questi ultimi vengono poi messi in casseruola con una cipolla steccata, sulla quale vengono apposti alcuni chiodi di garofano, una foglia di alloro, una carota, due scalogni, un mazzetto di odori un po’ di pancetta tagliata a dadini, un pezzo di lardo (oggi a questo potrebbe essere sostituito l’olio extravergine) e sale.

Il tutto deve rosolare a fuoco lento avendo cura di mescolare di tanto in tanto affinché non abbia ad attaccarsi alla casseruola, finché le carni non assumono il colore di cottura.

A questo punto la carne viene tolta e messa in un tegame pulito mentre a ciò che è rimasto nella casseruola deve essere aggiunto zucchero e farina, procedendo a mescolare poi, di tanto in tanto, affinché la farina non si attacchi al fondo e lo zucchero non caramellizzi.

Successivamente si procede ad aggiungere un po’ di aceto ed a sfumare l’insieme, aggiungendo mezzo bicchiere di vino bianco e facendolo poi bollire per un quarto d’ora, fino a ricavarne una salsa omogenea.

Quest’ultima, passata al setaccio, viene quindi utilizzata per cospargere la carne che, con l’aggiunta di un buon brodo deve proseguire la sua cottura sottoposta ad un fuoco lento.

In questa circostanza, si aggiungono dei capperi e, previo assaggio, si procede ad eventuali aggiustature con sale, aceto e zucchero, ponendo particolare attenzione a non eccedere con quest’ultimo.

La polenta

Sulla ricetta non c’è scritto ma è assodato che la cottura avveniva utilizzando il fuoco del camino, un paiolo di rame ed un bastone, lungo quanto bastava per evitare scottature nel mescolare incessante.

Per quanto riguarda gli ingredienti: 1 Kg di farina di mais, 4 litri di acqua e 4 cucchiai di sale grosso

Mettere il paiolo con l’acqua sul fuoco fintanto che, la stessa, non giunga a bollore.

A tal punto versare la farina a pioggia, iniziando subito a mescolare affinché non abbiano a prodursi grumi e proseguendo così per un tempo non inferiore ai 45 minuti.

Durante la cottura verificare la consistenza e, se l’esperienza suggerisce che la polenta potrebbe risultare troppo dura, aggiungere un po’ di acqua e servirla una volta raggiunta la densità desiderata.

Allo stesso modo, qualora invece dovesse sembrare destinata ad assumere un aspetto troppo molle, proseguire nella cottura, sempre senza smettere di mescolare, per ulteriori 10/15 minuti.

N.B. Nella ricetta non c’è scritto ma lo aggiungiamo noi: una parte particolarmente apprezzata della polenta è rappresentata dalla crosticina che si forma lungo tutte le pareti del paiolo, in fase di cottura. Peccato solo che…sia poca.

Chi, poi, volesse approfondire le proprie conoscenze, in merito a questa ed altre ricette della cucina Lunigianese, può trovare di grande interesse il libro “La cucina ignorante” scritto da Andrea Trevisan.