Da Altopascio a Gambassi Terme ve la racconto io!

Sono Piero Nencioni, il finora silenzioso, marito di Monica che già avete conosciuto nelle tappe precedenti.
Oggi, insofferente del ruolo gregario cui sono stato relegato le ho sottratto la tastiera ed ora che è in mio possesso cercherò di approfittarne guidandovi non lungo una tappa come, in precedenza, ha fatto Monica ma, addirittura su due: Altopascio- San Miniato e san Miniato- Gambassi Terme.
Quindi, vi invito a seguirmi e…cominciamo ad incamminarci.
Io e Monica abbiamo frazionato il cammino francigeno, percorrendo le tappe non in maniera continua come avremmo desiderato bensì qualche giorno alla volta in modo da conciliare il piacere del cammino con il dovere di soddisfare le esigenze della nostra grande e variegata famiglia e anche di adempiere agli impegni lavorativi.
Ci siamo, quindi, organizzati in questo modo: ci mettiamo in cammino mediamente per due o tre giorni al mese, riprendendo i passi da là, dove ci eravamo fermati la volta precedente: una base di partenza che raggiungiamo avvalendoci del treno (dove possibile) o muovendoci in autobus.

Ad Altopascio siamo arrivati in un freddissimo mattino di fine dicembre e, camminando di buona lena, ci siamo scaldati sull’asfalto percorrendo i primi chilometri in uscita dal centro abitato.
Poi l’erba congelata dalla brina, scricchiolante sotto gli scarponi ci ha tenuto compagnia fino all’abitato di Galleno, dove speravamo di timbrare le credenziali ma, qui, non abbiamo trovato nessuno che potesse farlo
Ci siamo quindi addentrati nel parco delle Cerbaie, luogo silenzioso e a tratti inquietante.
Rottami di auto abbandonate stile “Walking Dead”, e la sensazione di attraversare un luogo dimenticato, ricco di vegetazione e di una fauna selvatica della cui presenza ci si rendeva conto ascoltando i rumori ma che la nostra presenza e fors’anche il freddo non hanno mai indotto a mostrarsi.
La pace, il silenzio ed un’atmosfera rarefatta facevano sì che ci sentissimo quasi profanatori di un regno altrui. Un regno che non ci apparteneva.
Da qui derivava una sensazione anche un po’ timorosa. Preoccupati che gli abitanti del bosco potessero percepirci come una minaccia, un pericolo venuto a turbare la loro naturale libertà.
Alla fine del bosco incantato un vialone ci ha riportato alla realtà. I passi si sono fatti più spediti ed al profumo vegetale dell’ambiente precedente è andato progressivamente sostituendosi quello meno picevole delle concerie circostanti.
Non è la prima volta che percorriamo questo tratto di via Francigena. E’ però la prima volta che lo facciamo in inverno ed è stato un sollievo constatare di non aver più nulla da temere, nel tratto in uscita da santa Croce sull’Arno.
Ora, è stato messo in sicurezza ed anche nelle giornate buie, piovose, caratterizzate, talvolta, anche dalla nebbia i pellegrini possono affrontarlo in tutta tranquillità senza timore di essere travolti dagli autoveicoli di passaggio.
In tarda mattinata siamo arrivati a Ponte a Cappiano dove finalmente la fioraia, con una gentilezza che sembrava profumare l’aria ancor più dei bei fiori che la circondavano ha apposto sulle nostre credenziali un timbro carico di campanilistico orgoglio.
Infatti, nello stesso, campeggia ben visibile l’indicazione che, la vicina Fucecchio, “Arne Bianca” così si chiamava allora, fu la XXIII mansio (il termine con il quale all’epoca venivano indicate le stazioni di sosta), in cui sostò l’arcivescovo Sigerico.

Quest’ultimo non fu certo il primo a percorrere la via francigena però fu il primo a scriverne.
Lo fece, nel 990, rientrando a Canterbury dopo essersi recato a Roma per ricevere le insegne dal papa.
In tale circostanza ebbe l’idea di annotare in un diario i luoghi in cui, ogni sera, si trovava a sostare: un documento prezioso che gli è valso memoria imperitura.
Perché, parliamoci chiaro, senza questo diario, oggi, di Sigerico nessuno parlerebbe più!
Come spesso ci è avvenuto lungo il cammino, anche questa volta, malgrado che la stagione non induca molti ad imboccarlo, abbiamo condiviso un momento di gioia comune con un’altra simpatica coppia.
Due viandanti come noi, venuti dal Piemonte ed animati da un’idea simpatica e originale.
Dopo anni di cenoni ed affollate feste di capodanno, avevano deciso di trascorrerne uno più semplice ma soprattutto più intimo.
Si erano quindi messi in viaggio intenzionati a veder sorgere l’alba del nuovo anno, là,, nel luogo in cui si fossero venuti a trovare, percorrendo la via Francigena.
Questo, senza assegnarsi una meta precisa e con un unico e condiviso obiettivo: vivere un capodanno tutto loro.
L’incontro ha subito messo in luce non banali sintonie fra le nostre due coppie.
Nel miglior spirito di questo cammino, ognuno di noi ha estratto ciò che di commestibile aveva con se e messolo a disposizione di tutti lo abbiamo condiviso insieme a racconti di vita che ci hanno resi, in breve, “quasi amici”.
Esauriti panini, mandarini e frutta secca, constata la diversa velocità di passo, ci siamo lasciati infine di comune accordo ripromettendoci di incontrarci, nuovamente a San Miniato.
Alla ripresa del cammino, Monica, ha ancora una volta dovuto verificare quanto sia necessaria, da parte sua, la rinuncia ad un rito consueto: quello di leggere ogni giorno alcune decine di pagine dei suoi autori più amati.

Per lo più racconti in cui emerge uno stretto legame fra l’uomo,la natura e, talvolta, il divino. Tutti temi non proprio leggeri e che, quando esposti su carta per centinaia di pagine, diventano pesanti anche in senso fisico.
Il suo ammutolirsi e l’osservazione del faticoso incedere che caratterizzava i suoi passi mi hanno fatto capire che il suo zaino, zavorrato con il ponderoso volume di Emilia Hazelip “Agricoltura Sinergica” e forse anche qualcos’altro che per pudore non ha voluto rivelare, stavano rendendo particolarmente dura la sua marcia.
Per breve tratto, ho avuto così modo di testimoniare con i fatti ciò che spesso le dico a parole e mi sono pertanto offerto di raddoppire il mio carico, al fine di dare sollievo alle sue spalle.
Attraverso un’ antica palude bonificata abbiamo quindi raggiunto Fucecchio ed, in successione, San Miniato basso.

Qui, presso la sede della Misericordia, ci hanno timbrato le credenziali dandoci, però, nel contempo, una notizia spiacevole: causa lavori in corso, presso la struttura, veniva meno la nostra aspirazione ad essere ospitati.
In quattro anche le difficolta sembrano stemperarsi, quasi ognuno se ne caricasse una piccola frazione ed abbiamo quindi provato gioia nel vederci raggiunti dalla coppia piemontese.
Di colpo quella che sembrava un’impresa faticosa si è trasformata in una piacevole passeggiata con una rivitalizzante influenza anche sulle energie fisiche talchè Monica ha preteso che le venisse restituito il suo zaino.
Una richiesta alla quale “cavallerescamente”..non ho opposto alcuna resistenza.
A San Miniato Alto, abbiamo trovato alloggio per la notte in un bed & breakfast la cui proprietaria ci è sembrata completamente estranea al senso di accoglienza che, fortunatamente, appartiene a molti di coloro che offrono ospitalità lungo la via Francigena.
Raccolti i nostri documenti, credo più per timore che potessimo dileguarci senza pagare che non per una diligente ottemperanza alle norme, ci ha indicato la porta delle nostre rispettive camere.
Una sensazione confermata dal fatto che appena corrispotole quanto richiestici, gli stessi ci sono stati restituiti, senza che fosse rivolta loro la più fugace delle occhiate.
Nell’allontanarsi, poi, ci ha laconicamente detto che la colazione per il mattino seguente era stata abbandonata, dopo averla vista, aggiungerei “tristemente”, sul tavolo.
Infine, per non rattristarmene ancora al solo pensiero, l’acqua per la doccia, che un pessimista definirebbe semifredda, dirò che era “semicalda” e, comunque, è risultata essere tonificante: potenza dell’ottimismo!
Ma sulla francigena, come nella vita del resto, si incontra una varia umanità ed alla poco piacevole accoglienza ricevuta al B&B ne ha fatto seguito una simpatica, calorosa, ricca di cure e di buoni sapori in un piccolo locale anni ‘50 del quale, ora, aihmè, non ricordo il nome.
Mantengo però nel cuore il ricordo di questo rinfrancante incontro all’insegna di una cortesia autentica, empatica e non affettata.
Una gioia per noi che sul cammino cerchiamo soprattutto questo: persone dotate di anima, da tenere nel cuore, proprio come era successo nella nostra prima tappa a PREVIDÈ, con Marzia e Marco.
Questo gioviale ristoratore ci ha introdotti, generoso nelle informazioni, ai piaceri della cucina locale: il tartufo tipico del luogo e altre specialità fra cui il torrone duro, presentandoci infine un conto di molto inferiore a quello che ci saremmo attesi.
Usciti dal ristorante avremmo voluto godere di quella bella atmosfera che si respira in questo borgo e forse, vent’anni fa, privi di taluni piccoli dolori che cominciano a farsi sentire, lo avremmo anche fatto.
Adesso il freddo e l’umidità, complice anche la stanchezza, ci hanno però indotto a rientrare nelle nostre camere dove, come siamo soliti fare, ci siamo scambiati impressioni e sensazioni in merito alla giornata trascorsa.
Insieme abbiamo convenuto che, nella vita, ci sono giorni che per ricchezza di incontri fatti e luoghi visitati, sembrano contenerne molti altri al loro interno: -Giorni speciali, giorni matrioska, ho detto io- e Monica mi ha fatto eco:- Bravo, ma ora…dormiamo!.-
Il mattino seguente abbiamo infilato nello zaino la colazione confezionata, decisi ad utilizzarla solo in caso di emergenza per evitare una eventuale morte per fame.
Del resto, nel bancone del bar di fronte, dove ci eravamo recati per farci fare un caffè, una serie di paste in bella mostra esercitavano un fascino al quale credo in pochi avrebbero saputo resistere.
Quindi dopo un paio di energetici cannoli, generosamente riempiti di crema, sereni e soddisfatti abbiamo ripreso il nostro cammino dirigendoci verso Gambassi Terme.

Il primo tratto, tutto su strada asfaltata, ci ha indotto ad accelerare il passo per raggiungere il prima possibile i crinali della Val d’Elsa che, infatti, in meno di un’ora erano lì, a dare soddisfazione al nostro sguardo: paesaggi indimenticabili e solitari ai quali però si paga un tributo: l’assoluta assenza di punti di ristoro.
Finalmente giunti alla Pieve di Coiano abbiamo trovato l’agognata fontanella, ma non solo quella.
Infatti mentre, una volta dissetatici, stavamo crogiolandoci ad un tiepido sole dicembrino, siamo stati nuovanmente raggiunti da Bruno ed Elvira, i pellegrini piemontesi.
In cammino si fa più sottile, il diaframma che solitamente ci separa l’uno dagli altri.
Si acquisisce subito confidenza. vengono meno gerarchie sociali e tutte le altre stupidaggini e convenzioni che imprigionano la parte più viva e più vera delle nostre esistenze.
Senza eccessivi convenevoli, senza lunghe fasi di studio accompagnate da, per lo più, ingiustificate diffidenze appare naturale diventare amici.
Le anime comunicano in maniera diretta, si espongono fiduciose aprendosi in profondità. Gustano e condividono il bello di ogni luogo e di ogni incontro.
Questo è ciò che è avvenuto con loro.
Abbiamo continuato a camminare insieme diretti verso l ‘ostello di Chianni poco prima di Gambassi.
Era l ultimo giorno dell’anno e il monastero ristrutturato era incantevole, l’Ospitaliere ci ha accolto e guidato alla visita della Pieve e poi ci ha invitati a partecipare al cenone pellegrino.
Bruno ed Elvira si sono guardati, in un lampo i loro occhi hanno trasmesso, l’un l’altro, segnali che non contenevano solo informazioni, ma anche emozioni, sentimenti.
Non era ciò che avevano ipotizzato ma era una situazione particolare, piena di gioia, di allegria, di senso di comunità: all’unisono e, senza esitare, hanno aderito alla proposta.
A prescindere dal menù, peraltro ottimo, questo è stato il capodanno più entusiasmante finora trascorso.
Un capodanno gioioso, trascorso insieme ad una ventina di altri pellegrini alcuni dei quali dotati di chitarra e di non banali virtù canore.
Fra tappi di spumante che saltavano e panettoni che venivano affettati, abbiamo giocato a carte, cantato e parlato fino allo scoccar della mezzanotte e poi come nella più rispettabile delle fiabe ci siamo coricati felici e contenti. Ma non per dire: felici e contenti in senso vero!