Perché i testaroli si chiamano testaroli? Che cosa sono i testaroli? Come si fanno i testaroli? Come si cucinano e come si condiscono i testaroli?
Queste sono le domande che solitamente pongono coloro ai quali viene proposto questo tipico piatto pontremolese.
Il nome Testaroli

Il nome “testaroli” è direttamente conseguente a quello del contenitore all’interno del quale vengono realizzati: il testo.
Trattasi di un recipiente circolare del diametro di 40/50 cm, composto da due parti, una sottostante, chiamata sottano, simile ad una grande teglia sulla quale vengono poggiati gli alimenti ed una soprastante parte conica chiamata soprano, destinata ad essere sovrapposta al sottano.
L’insieme una volta portato a temperatura, sfruttando la propensione della ghisa a dissipare molto lentamente il calore, si comporta come un forno portatile ed oltre che per i testaroli viene utilizzato per cuocere le carni ed anche il pane che, realizzato in tal modo, dagli abitanti del luogo, è chiamato “Carsenta”.
I testaroli che cosa sono.
I testaroli sono il piatto principe della cucina pontremolese. Un piatto presente nel menù di qualsiasi ristorante o trattoria del territorio pontremolese, sia che si tratti di un locale popolare sia che invece disponga di uno chef stellato e recensito dalle guide gastronomiche più prestigiose.
Molti sostengono che i testaroli siano i veri antesignani della pasta e che venissero prodotti già in epoca romana.
La cosa anche se non provata documentalmente risulta peraltro verosimile considerato che il lemma latino “testum” era utilizzato per indicare un recipiente di cottura in terracotta.
In effetti il testo, è stato realizzato in terracotta fino a metà ottocento.
In quegli anni La Spezia si era dotata di un imponente arsenale militare al cui interno era presente anche una fonderia dove venivano realizzati i proiettili per alimentare i cannoni delle navi.
Uno dei più capaci fonditori che operavano in tale ambito era Pietro Bedini, socialista bonario ed incline ad apprezzare i piaceri della tavola più che le emozioni della guerra.
Pertanto ebbe l’idea di sottrarre talvolta al compito cui erano destinati gli strumenti tecnologici che padroneggiava, traendo dagli stessi qualcosa di utile in cucina e non sui campi di battaglia.
Da allora i testi in terracotta che, come facilmente comprensibile, erano soggetti a frequenti rotture, vennero progressivamente sostituiti da quelli in ghisa.
Sicuramente più pesanti e meno maneggevoli ma anche destinati a durare a lungo.
Testaroli: come si fanno.

Cosa serve per realizzare i testaroli: farina di grano tenero 1 Kg, acqua 1 litro e sale 10 gr. (1 cucchiaio raso) legna di faggio, castagno e nocciolo.
La procedura: si impasta la farina con acqua 58/ 60°, aggiungendo il sale.
Per accertarsi che non ci siano grumi la si filtra attraverso un normale colapasta.
Si portano a temperatura i 2 componenti del testo, soprano e sottano, avendo cura di far sì che quest’ultimo, disposto sul fuoco vivo esponendo ad esso la sua parte interna, raggiunga una temperatura di 350° nella sua parte centrale.
A questo punto, sottratto il sottano dal fuoco lo si cosparge di pastella, ca. ½ litro, distribuendola sul fondo in maniera uniforme e lo si copre con il soprano, lasciandolo così a cuocere per ulteriori tre minuti.
Il testarolo viene, quindi, estratto con l’aiuto di una spatola o meglio ancora con un lungo coltello ed è pronto per essere cucinato.
Testaroli: come si cucinano
Il grosso disco rappresentato dal testarolo viene tagliato ricavandone una serie di losanghe che vengono gettate in una pentola di acqua, precedentemente resa bollente, ma sottratta al fuoco in questo momento.
Dopo un minuto o poco più, il testarolo viene scolato ed è pronto per essere condito.
Come si condiscono i testaroli
Tradizionalmente il testarolo veniva condito con olio locale e formaggio parmigiano o pecorino. Tutt’al più, talvolta, al formaggio, mescolandolo, veniva aggiunto un trito di basilico.
In stagione, quando i boschi pontremolesi, andavano riempendosi di profumati porcini, olio e formaggio, lasciavano temporaneamente il posto al sugo di funghi.

Oggi, a questi due condimenti, generalmente apprezzato, è andato ad affiancarsene un terzo: il pesto genovese.